NON NUOCERE: La gestione del dolore cronico e gli effetti positivi e negativi della comunicazione (verbale e non verbale)

Tutti i medici avranno familiarità con la terza strofa del giuramento di Ippocrate: “Mi asterrò dal recar danno od offesa, non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio”

Il resto degli operatori sanitari e delle persone non fanno un giuramento del genere, anche se, a giudicare da quanto assisto, la mia opinione è che sarebbe il caso.

In questi anni di pratica clinica, ho visto diverse persone con dolori cronici, invalidanti, in particolare a livello lombare, erano tutti pazienti piuttosto ‘tipici’ per quanto riguarda i referti di radiologia: la solita assenza di patologie di interesse chirurgico, assenza di danni strutturali seri, tutti con una lunga storia di trattamenti falliti.

Fortunatamente la maggior parte di questi pazienti in realtà erano curabili, e con il giusto approccio riabilitativo sono ritornati alle loro attività sociali e sportive consapevoli del loro problema di come gestire la propria colonna vertebrale e con un ottimo risultato sul fronte del dolore.

Ma l’obiettivo di questo articolo non è quello di rendervi partecipi dei nostri successi, ma di rendervi consapevoli di quanto a volte le cause del dolore cronico o nel fallimento terapeutico risiedano nelle frasi che vengono dette (o i messaggi che passano) a queste persone all’esordio della patologia.

Vi racconterò in particolare di alcuni casi tipo, come di una donna di mezza età, con una storia di 20 anni di dolore cronico e di trattamenti inutili di varia natura, non si trattava di una donna qualunque ma di una ex sportiva di alto livello, e come tutti gli sportivi di livello, dotata di ottime capacità di sopportazione del dolore e con una buona conoscenza del proprio corpo, che ancora sognava di poter tornare a gareggiare, ormai deambulava aiutandosi con un bastone ed usava un busto da anni, a suo dire il dolore ormai l’aveva letteralmente “piegata” .

L’atteggiamento che aveva questa paziente, è l’atteggiamento tipico di questo tipo di pazienti con dolore cronico: la loro percezione di pericolo è stata notevolmente sensibilizzata, vivono con il costante terrore che la loro schiena possa letteralmente spezzarsi e costringerli in sedia a rotelle.

Di solito in queste situazioni il mio primo obiettivo del trattamento è quello di aiutarli a resettare e concettualizzare sia la loro percezione riguardo allo stato della loro schiena che la loro percezione del dolore. Come parte di questo processo, di solito bisogna identificare da dove è nato questo terrore. Una cosa che ho osservato, anche se ormai non dovrebbe sorprendere, è quanto spesso la “pistola fumante” dalla quale è partito il colpo, (il pensiero negativo), sia stata nelle mani di un professionista sanitario (o sedicente tale).

Questa donna aveva ricevuto indicazioni catastrofiche sulla sua schiena, andava avanti ad infiltrazioni settimanali da anni, aveva un salute generale ormai compromessa per l’abuso di farmaci ed aveva il terrore di muoversi anche nei brevi momenti in cui il dolore si attenuava. La signora all’inizio della prima visita esordì dicendomi:- non so se sono nel posto giusto perché mi hanno detto che la fisioterapia non serve a niente in casi come il mio, e non devo fare sforzi altrimenti rischio la paralisi:– questo vi fa capire con che tipo di convinzioni conviveva da anni ormai, e con che difficoltà psicologiche di pre-concetti errati ci siamo dovuti confrontare all’inizio.

In realtà la signora dopo un percorso di 3 mesi di educazione, rieducazione motoria (e funzionale) e di paziente sostegno psicologico è tornata progressivamente via via a recuperare la funzionalità delle attività quotidiane senza dolore, gestendo posture e movimenti ed è tornata in 6 mesi alla sua attività sportiva, seppur con dei paletti prudenziali concordati assieme ma è tornata a fare quello che voleva e le dava sostegno, con un miglioramento notevole della qualità della vita da lei percepita.

Quello che accomuna questi pazienti è che quasi sempre hanno ricevuto informazioni catastrofiche riguardo alla loro schiena, chi da internet, chi da qualche amico evidentemente sadico, chi ahimè da un professionista sanitario disattento (o malintenzionato) o da qualche abusivo della professione al quale il malcapitato si è rivolto in uno dei tanti vani tentativi… Il loro problema fortunatamente non è più “l’ernia del disco”, (ormai per quanto riguarda l’ernia del disco, fortunatamente ci sono sufficienti evidenze scientifiche, che tutti i medici dovrebbero conoscere, che dimostrano nella maggior parte dei casi siano curabili senza chirurgia, anzi, se seguite adeguatamente possono restituire al paziente una vita senza limitazioni particolari) ora siamo nella fase storica nella quale sento che abbiamo raggiunto un “punto di non ritorno” per quanto riguarda l’inaccettabilità sociale di alcune follie diffuse e ancora divulgate da qualche “professionista della salute”.

Sento frequentemente pazienti che mi riportano frasi prive di fondamento scientifico, o peggio frasi o sentenze dimostrate essere assolutamente false; frasi del tipo: – “mi ha detto che ho le vertebre spostate e ogni mese me le deve sistemare” oppure “ho il bacino inclinato / ruotato e devo essere riallineato periodicamente”; oppure,”siccome 20 anni fa mi sono rotto la tibia pare ora io abbia la sciatica..” o ancora: “ ho una vertebra che se mi muovo scivola e mi schiaccia il midollo spinale”… Ovviamente parlo di casi nei quali i referti di diagnostica per immagini sono assolutamente normali, dove il neurochirurgo non ha reputato necessario alcun intervento e dove i referti mostrano una colonna senza disallineamenti, o “blocchi” nella mobilità anche in dinamica.

dolore lombare cronico

Anche se i termini esatti utilizzati per descrivere queste disfunzione sono un po’ modificati dai pazienti, non cambia il loro effetto catastrofico a livello mentale.

Quando il paziente mi riferisce di queste loro convinzioni, ho due reazioni: una è la risposta che do al paziente per cercare di spiegare al meglio come stanno veramente le cose:

Tutti siamo più o meno disallineati e non simmetrici, che le vere asimmetrie che portano a disturbi sono MISURABILI e vanno MISURATE, che se qualcosa è fuori posto lo vedremmo ai radiogrammi, che è stato dimostrato che queste teorie adottate si sono dimostrate prive di fondamento e correlazione con la loro patologie ecc.

È una risposta interiore, un senso di rabbia nel vedere che esistono ancora oggi delle persone che sfruttano l’ingenuità e la credulità delle persone per giustificare i loro fallimenti terapeutici o peggio per procurarsi un profitto sicuro e ciclico.

Ma il vero problema è che queste convinzioni negative ormai radicate nella persona non solo condizionano negativamente e psicologicamente il paziente, ma ne hanno modificato la fisiologia.

Ma da dove provengono questi modelli fisiopatologici usati da questi “professionisti”? Ebbene oltre al professionista maldestro che parla in maniera drastica ed inconsapevole al paziente, vi è un fiorente mercato e convenienza nel diffondere queste quasi-teorie fisiopatologiche, e la quasi totalità di queste ovviamente non sono testate né verificate.

Infatti, molti degli inventori di questi ” paradigmi” non sembrano avere alcun intento di mettere le loro idee o teorie alla prova (attraverso qualsiasi tipo di studio o confronto). Per loro, la prova inconfutabile sembra risiedere nei loro pazienti trattati con “successo” e che tornano ciclicamente, o peggio, a volte prendono in prestito una singola ricerca o una relazione studiata a livello scientifico per soddisfare la loro idea. Per finire, la cosa più frustrante è che poi capita inoltre che la nostra comunità sembra approvare tali paradigmi, invitandone gli inventori alle riunioni “scientifiche” e nelle riviste professionali. Quale responsabilità abbiamo nel lasciar diffondere questo tipo di messaggi?

Qualcuno mi rimprovera di essere troppo categorico, rigido, Forse. Ma penso alle vittime di tutto questo… Le vittime sono, a mio avviso, quelle persone che provano dolore. Persone come le ultime che ho visto, terrorizzate in profondità, nella “pancia”e nel loro sistema nervoso, che sono veramente sul punto di rompersi in due.

Possiamo veramente ancora accettare che vengano proposte terapie prive di alcuna evidenza di efficacia (a volte, incredibilmente, anche ufficialmente)? Siamo sicuri che il fatto che queste terapie non abbiano “rischi ed effetti collaterali” sia un motivo sufficiente per consentirne la diffusione o la pratica o insistere nel prescriverle ciclo dopo ciclo? La scienza sta dimostrando sempre più costantemente quanto sia importante la comunicazione e il messaggio che passiamo al nostro paziente, e il messaggio non verbale a volte è ancor più efficacie (nel bene e nel male) di quello verbale.

Ormai sono noti i meccanismi neurofisiologici dell’effetto placebo / nocebo e di come questo possa modificare i risultati solamente grazie ad una sorta di condizionamento mentale, o attraverso altri canali. Ad esempio, sono coinvolti i meccanismi cerebrali di attesa, ansia, e di ricompensa, così come una varietà di fenomeni di apprendimento, come il condizionamento Pavloviano e l’apprendimento sociale.

I modelli più efficaci per comprendere la neurobiologia dell effetto placebo sono il dolore e la malattia di Parkinson: in queste condizioni mediche, sono state individuate le reti neurali che sono coinvolte, vale a dire, la rete di modulazione “oppioidergica-cholecystokinergica-dopaminergica” nel dolore e parte del circuito dei gangli della base nella malattia di Parkinson. Implicazioni cliniche importanti emergono da questi recenti progressi della ricerca… In primo luogo, emerge come l’effetto placebo sia fondamentalmente un effetto del contesto psicosociale. Questi dati indicano che diversi stimoli sociali, come le parole ed i riti terapeutici, possono cambiare la chimica ed il circuito neuronale nel cervello del paziente. In secondo luogo, i meccanismi che sono attivati dal placebo sono uguali a quelli attivati dai farmaci, il che suggerisce un effetto- interazione cognitivo / affettivo con l’azione del farmaco. In terzo luogo, se la funzione della corteccia pre-frontale è compromessa, le risposte del placebo sono ridotti o del tutto assenti, come avviene nella malattia di Alzheimer o in altre patologie ove questa zona cerebrale è compromessa. (1)

il dolore cronico

Ora, siamo ancora sicuri che trattare inutilmente un paziente per anni non abbia effetti collaterali? La mia opinione, (e non solo la mia) è che se facciamo ciò, questa persona inizierà a radicare sempre più profondamente nel suo sistema nervoso la convinzione di essere gravemente malato, di avere una patologia incurabile, di non avere speranze di poter tornare a fare le attività fisiche e la vita sociale che aveva… il tutto semplicemente perché un professionista non è stato così corretto nel confessargli magari di non essere in grado di risolvere il suo problema o di rivolgersi ad un altra figura più adatta.

Gli ultimi pazienti che ho visto, a mio avviso, sono stati addirittura danneggiati (se così possiamo dire) dai trattamenti che hanno subito, ovviamente non danneggiati dal punto di vista anatomico, ma psicologicamente (oltre che economicamente). Chi dal pensiero catastrofico inculcato con una frase sbagliata che ingigantisce il problema, chi da un assenza totale di spiegazioni, chi dall’effetto nocebo.

In questi pazienti si è innescato un processo neurale ormai radicato nel cervello del paziente, tale da modificare il suo modo di muoversi, di affrontare un gesto e tale da condizionare la ripresa alle attività anche a danno biologico risolto; conducendolo di fatto nella spirale della cronicità

dolore paura ed evitamento alterati schemi motori → perdita di forza e resistenza dolore nel affrontare un carico sempre minore maggior paura ed evitamento riposo ritiro sociale ansia- depressione e via dicendo

Ricordo ancora lampanti alcuni casi limite.

Un paziente prima di venire alla mia attenzione, si rivolgeva periodicamente ad un bravo professionista (bravo anche se in anni di trattamenti non aveva mai risolto il suo problema) perché adottava un metodo appena scoperto (i pazienti spesso ignorano che a volte per “scoperta” in realtà si intende “invenzione”) e ne aveva scritto un libro oltre che aver partecipato a diverse conferenze come relatore (non sapendo che i libri si lasciano scrivere pagando un editore, e che a certe conferenze si paga per essere invitati come relatori… alcune ormai sono una forma di marketing).

Un’altra persona invece che ciclicamente andava a farsi sistemare il bacino e le vertebre perché queste si disallineavano periodicamente, ma senza ricevere mai alcun tipo di spiegazione o riportando teorie piuttosto fantascientifiche sui motivi (quando in realtà semplicemente queste persone stanno sedute in maniera scorretta, sono troppo sedentarie ecc), assicurando in questo modo a quel professionista un entrata costante per anni, creandone un bisogno più che curandole, un po’ come andare dal barbiere.

Certo, ci sono molti pazienti per i quali questi trattamenti sembrano funzionare, anche io ho letto alcuni casi studio (CASI STUDIO, non STUDI multicentrici in doppio cieco, randomizzati e controllati con rilevante nesso di causalità).

Ma a volte vengono citati studi di bassissima qualità o rilevanza… Sapete dirmi ad esempio a che cosa servono (se non come forma di marketing) e cosa rappresentano gli studi che confrontano il prima con il dopo senza un controllo – un nesso causale? C’è ancora qualcuno che crede a queste cose?

Credo che sia giunto il momento per un cambiamento fondamentale.

Scientificamente ormai non c’e dubbio che:

  • il dolore cronico sia un problema di salute serio.
  • la comprensione di un individuo riguardo al suo problema moduli il suo dolore.
  • la comunicazione verbale e non verbale influenzino in maniera profonda sia l’esito di un percorso terapeutico che le possibili complicanze psicologiche del paziente.

Credo che alla luce di tutte queste considerazioni, tutti dovremmo incitare ad applicare, nel senso più lato, il concetto del “NON NUOCERE” con i nostri pazienti e non solo.

Dobbiamo tenerne conto noi stessi e tenerne conto anche per i nostri colleghi. Dobbiamo rendere responsabili le nostre associazioni professionali nelle cui riviste a volte vengono pubblicizzate vere e proprie truffe. Siamo nel 2017 e penso, anzi ne sono convinto, che possiamo fare meglio.

 

Bibliografia: 1) How Placebos Change the Patient’s Brain, Fabrizio Benedetti,1,* Elisa Carlino,1 and Antonella Pollo1

Neuropsychopharmacology. 2011 Jan; 36(1): 339–354.

 

Dott. Marco Segina

Responsabile della sezione Fisioterapia Ortopedica e Sport del Poliambulatorio Fisiosan con sede a Trieste e a Muggia.
Amministratore della Polisportiva Venezia Giulia SSDarl – con sezioni Volley, Basket, BodyBuilding, Pesistica, Corsa, MountainBike.
Laureato in Fisioterapia con Lode C/o Facoltà di Medicina e Chirurgia di Trieste e Vincitore del premio miglior tesi di Laurea in Italia nel 2008 (Una nuova Scala di Valutazione delle Lombalgie).

Altri titoli:
Master Universitario in ecografia muscoloscheletrica per fisioterapisti e podologi;
Master Universitario in Osteopatia;
Diploma di Osteopractor (American Academy of Manipulative Therapy);
Diploma di Chiroterapia e manipolazioni vertebrali (Manipulation Italian Academy);
Diploma di Preparatore Atletico;
McKenzie method (level A,B,C,D,E);
Stecco method (I e II livello);
Dry Needlig cert. (American Academy of ManipulativeTherapy);
Spinal Manipulation cert. (American Academy of Manual Therapy);
McGill method (I,II,III livello);
Documentarion based care certificate instructor;
Istruttore di Functional Trainig;
Personal Trainer;
Tecnogym Exercise specialist.